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Monday, September 17, 2018

Mandanici.

di Marco Di Stefano e Chiara Boscaro

La "mezza" al caffè con panna.
AVVISO AI NAVIGANTI: Attenzione! Questo post di Aspetta Primavera presenterà caratteristiche insolite. Pertanto i frequentatori di questo blog potrebbero restarne fortemente delusi. In particolar modo, è giusto che sappiate che in questo post NON PARLEREMO DI CIBO!
RIPETIAMO: NON PARLEREMO DI CIBO!

Dopo questo doveroso annuncio, possiamo cominciare.
I Confratelli Marco e Chiara sono invitati in Sicilia per partecipare alla terza edizione di WRITE – Residenza Internazionale di Drammaturgia. WRITE è un progetto del drammaturgo, attore e regista messinese Tino Caspanello, che ha ricevuto il premio della giuria a Riccione Teatro nel 2003 per il testo Mari. L'organizzazione è curata da LATITUDINI - Rete siciliana di drammaturgia contemporanea, con la guida sicura di Gigi Spedale e sotto lo sguardo attento di Vincenza Di Vita.

Il giorno 2 luglio i nostri eroi calano in Sicilia: la residenza inizia il 3, ma una puntata al mare non guasta. Abbandoniamo dunque la terza persona plurale ed entriamo nel vivo della narrazione: ad accoglierci, alla discesa del traghetto Villa San Giovanni – Messina, è lo stesso Tino. Non capita spesso che il direttore artistico venga direttamente a prenderti, e questa è solo la prima delle “anomalie” positive di WRITE. Tino ci accompagna in un delizioso B&B a Furci Siculo. Per delizioso intendiamo che è a 50 metri dal mare e che la terrazza affaccia direttamente sullo Ionio. Non ci sembra vero. Una residenza in Sicilia a inizio luglio che si apre con una intera giornata di mare. Verso sera Tino torna a prenderci e ci porta nella sua casa di Pagliara per la cena. Lì conosciamo Cinzia Muscolino, moglie di Tino e sua compagna di palcoscenico, e Antonella Babbone, che li affianca fin dalla prima edizione. Antonella quest'anno deve occuparsi in particolar modo di tradurre parole e pensieri di Barbara Chastanier, autrice francese in residenza. Vi facciamo spoiler: Antonella lo farà in modo egregio e con grande generosità.
La cena va come una normale cena al sud: la padrona di casa esordisce con “ho fatto giusto due cose veloci” e... e il resto lo sapete se siete stati almeno una volta ospiti in una casa siciliana. Valore aggiunto: il vino rosso fatto direttamente da Tino. Ottimo.
Dopo cena ci raggiungono Maximilian La Monica e Alessia Fronza della casa editrice Editoria & Spettacolo. Sono qui per seguire la residenza e per la presentazione del volume Sottotraccia, quarta raccolta dei testi teatrali di Tino. Portano con loro una cospicua parte del catalogo di Editoria & Spettacolo, roba da perderci la testa. Date un occhio al loro sito.
Monastero della SS. Annunziata a Mandanici.
Durante la serata parliamo di teatro, di Sicilia (Marco ha il papà di Trapani), di cucina e di letteratura. È bello stare qui, con queste persone.
Il giorno dopo lo passiamo ancora a Furci: colazione in terrazza, mare, seconda colazione con granita e brioscia, mare, pranzo con arancini (lo diciamo al maschile, in onore del luogo che ci ospita), mare, merenda con granita senza brioscia, e ancora mare. Alle sette Maximilian e Alessia ci recuperano per andare nel luogo che ospiterà la residenza: il monastero della SS. Annunziata a Mandanici, in provincia di Messina.
In macchina conosciamo Alexander Manuiloff, drammaturgo bulgaro molto attivo in Germania. Scopriamo che è amico di Yasen Vasilev, che con noi aveva partecipato al Festival PIIGS a Barcellona nel 2016.
Il monastero è un luogo magico. Qui vivremo per i prossimi 5 giorni. Nel cortile facciamo la conoscenza degli altri autori: Giovanni Greco, regista, drammaturgo, docente all'Accademia Silvio D'Amico e autore del romanzo Malacrianza (finalista Premio Strega 2012); Nello Calabrò, dramaturg della compagnia Zappalà Danza; Jeton Neziraj, ex-direttore del Teatro Nazionale del Kosovo e attualmente direttore di Qendra Multimedia a Pristina; la già citata Barbara Chastanier, autrice e attivista nota in Francia per la pièce “La Femme® n'existe pas” (non è un refuso, il simbolo del copyright fa parte del titolo). Manca solo Andrea Saitta che, per un imprevisto, potrà raggiungerci solo il penultimo giorno.
Con noi c'è Giuseppe Di Bella, raffinato cantautore chiamato a scrivere ogni giorno una canzone a partire delle suggestioni della giornata. 
La formula di WRITE è una sfida per tutti: ogni sera due autori – scelti da Tino - decidono un tema e devono consegnare un testo creato appositamente per la residenza entro le 15 del giorno dopo. Alle 15 un regista prende in mano il testo e lo mette in scena la sera stessa con un gruppo di coraggiosi attori (e qualche gradito outsider).
Autori all'opera.
Una consegna del genere manderebbe in ansia anche William Shakespeare, invece... invece tutte le persone coinvolte si donano con generosità, creando un evento unico nel suo genere: 4 serate di drammaturgia contemporanea davanti a un pubblico attento, una vera e proprio comunità che respira teatro 24 ore al giorno, un regalo. 
A WRITE tutto avviene con naturalezza, senza stress, in un ambiente familiare e ospitale. Non ci sono rivalità, non ci sono invidie. C'è solo la voglia di stare insieme e di confrontarsi su quello che accade in Italia e in Europa a livello teatrale (e non solo).
Il primo turno tocca a Chiara e Giovanni Greco. I due si danno addirittura lo stesso titolo: “Kafka è nato ieri”. Il giorno dopo Barbara e Marco cercano di rispondere alla domanda “Come amiamo oggi?” Il terzo giorno Nello e Alexander si confrontano su “La Scelta” per poi chiudere con “La Morte” affrontata da Jeton e Andrea. Il risultato sono otto testi diversissimi tra loro, ognuno con una forte identità nonostante il poco tempo a disposizione. O forse proprio grazie al poco tempo. L'ultima sera si chiude in bellezza con un testo collettivo dedicato alle “porte” della testa del potere, compreso un orecchio di Trump.
E poi... poi si festeggia, si piange un po', ci si saluta con il fazzoletto mentre l'aliscafo si lascia Cariddi alle spalle.

(Grazie anche a: Chiara Chirieleison, Selene Di Bella, Cinzia Borgosano, Santina Nibali, Diana Borgia, Elena Russo, Claudia Bertuccelli, Auretta Sterrantino, Donatella Venuti, Paride Acacia, Roberto Zorn Bonaventura, Federico Magnano San Lio, Nicola Alberto Orofino, Javier Sahuquillo, Vincenzo Tripodo, Milena Bartolone, Marta Bevilacqua, Marielide Colicchia, Alice Ferlito, Valentina Lupica, Giovanna Manetto, Alice Sgroi, Francesco Bernava, Luca Fiorino, Gianfranco Quero, Michelangelo Maria Zanghì, Turi Zinna)

Monday, June 25, 2018

New York.

Central Park.
di Chiara Boscaro e Marco Di Stefano

Una cosa è certa. Ovunque ti giri, sei già dentro un film. C'è il tunnel di Men in Black, c'è quello scorcio del Ponte di Brooklyn che hanno usato in tanti, c'è l'albergo di Mamma ho perso l'aereo, c'è Central Park, e Central Park c'è un po' in tutti i film. "Cazzo. C'è l'entrata della Grand Central Station, dove Bruce Banner si trasforma in Hulk mentre tira un cazzotto sul muso a un Chitauro gigante. È così che inizia la battaglia finale del primo Avengers!". Se ci seguite da un po' potete immaginare chi ha detto questa frase mentre tremava come un bambino...

(Fine del racconto nerd e inizio del racconto epico.)

I confratelli Marco Di Stefano e Chiara Boscaro sono nella Grande Mela per ricevere il Mario Fratti Award 2018 all'Istituto Italiano di Cultura. Il Mario Fratti Award è un premio di drammaturgia organizzato annualmente da In Scena!, festival di teatro italiano a New York diretto con professionalità e tenacia da Laura Caparrotti.
Chiara e Marco sono pronti per ritirare l'ambito premio, ma dentro di loro covano un altro obiettivo: scoprire i segreti di quella che viene definita LA CITTÀ con tutte le maiuscole. Hanno studiato (Chiara) e combattuto il jet lag a colpi di melatonina (Marco), ora sono pronti a fare i turisti. Non portano sandali col calzino, ma pare che il passo lento e vacanziero li svenda subito, nel ritmo forsennato dei newyorkers.
Il testo che hanno scritto, quello con cui hanno vinto il Premio Mario Fratti, parla proprio di città. Si intitola "La Città che Sale", e guarda caso, "La Città che Sale" originale, quella di Boccioni, sta proprio qui, al MoMA. Coincidenza? Noi pensiamo di no...
I consigli degli amici pre-partenza sono stati numerosi e circostanziati: pare che tutti siano già stati qui e abbiano liste infinite di imperdibili. Musei, esperienze, scorci, bar, persino il cibo, che non è che gli americani siano proprio famosi per il cibo. Ma questa mica è l'America, questa è una città stato figlia del mondo, un frullatore che a ogni fermata di metropolitana ci catapulta in inedite dimensioni parallele.
La sensazione condivisa è che una settimana non basterà mai.
Ma Chiara e Marco non sono due turisti qualsiasi...

(fine del racconto epico. Ora si cazzeggia un po' in stile Confraternita.)

In programma ci sono due spettacoli: il geniale musical The Book of Mormon di Trey Parker, Matt Stone (i creatori di South Park e Team America) e Robert Lopez; e il - da tutti consigliatissimo - Sleep no more dei Punchndrunk al McKrittick Hotel, che ci è piaciuto un po' meno, nonostante l'impressionante apparato scenografico che coinvolge tutto il palazzo e che dà la possibilità al pubblico di girare liberamente per 3 ore seguendo i personaggi o la trama che preferisce (o semplicemente affidandosi al caso).
Ah, tornando a "The Book of Mormon"... NON PERDETEVELO ASSOLUTAMENTE.
È in scena a Broadway, all'Eugene O'Neill Theatre. Ci fa ancora male la mascella dal ridere. Un ridere intelligente e dissacrante.
Vi abbiamo già detto di non perdervelo?
Il resto dell'itinerario prevede il traghetto per Staten Island (gratuito e con vista sulla Statua della Libertà), un giretto a downtown e midtown con il naso all'insu, Chinatown (che una volta era Little Italy), Central Park (e Strawberry Fields Forever e Angels in America e una serie di artisti di strada bravissimi), i Musei del Museum Mile, la Harlem dei Gospel Bar e la Dumbo con gli sposini a farsi foto dappertutto. Tra tutto ci piace molto la Highline (parco ricavato sui binari in disuso di un tram sopraelevato che attraversava Chelsea), l'Orto Botanico di Brooklyn (che a inizio maggio si riempie di ciliegi in fiore, per sapere il giorno preciso basta seguire le news sul sito, aggiornate in tempo reale con tutte le fioriture) e Coney Island, storico parco divertimenti ricavato praticamente in spiaggia. Sì, New York ha la spiaggia, e se ci sono 30 gradi, basta un'oretta di metropolitana da Manhattan.
Istituto Italiano di Cultura.
A proposito di metropolitana, meglio stare attenti ai cartelli e agli avvisi audio: i lavori di mantenimento e ristrutturazione sono sempre dietro l'angolo, e bisogna essere lesti nell'escogitare tragitti alternativi.

(basta cazzeggio. Ora la parte preferita da chi legge questo blog.)

Va bene. Si parli anche di cibo, anche se di sacrilegio si tratta. Per l'hamburger, consigliato Shatzie all'Upper West Side, tra la 103esima e la Broadway (ottimo anche il pastrami) e il Burger Joint nascosto dentro l'hotel di lusso Le Park Meridien, vicino a Times Square. Per l'hot dog consigliamo Nathan's a Coney Island (va beh, Nathan's lo consigliano tutti...), dove ogni 4 luglio si festeggia l'indipendenza con una gara a chi ingurgita più panini.
Rimanendo sul filone panini (ah ah, filone, panini... bravo Marco, che gioco di parole di merda...) abbiamo sperimentato anche il panino con l'astice di Luke's Lobster a Dumbo. Al tramonto, con una bella birra fresca, è davvero la pace dei sensi.

Un'ottima soluzione per risparmiare tagliando un pasto è il brunch, dove due uova (sopra qualsiasi pietanza, dalla macedonia alle polpette fritte) non si negano a nessuno. Noi abbiamo molto amato Metro Diner. È uno degli ultimi diner di New York, non perdetevelo.
Le patate fritte spadroneggiano nei menù, ma non è impossibile mangiare "sano", destreggiandosi tra migliaia di baracchini, multietnici vari e l'onnipresente fumo di griglia (oltre a quello che, ora possiamo confermarlo, davvero esce dai tombini).

Metro Diner.
(ecco il finale... dove si deduce che siamo ancora frastornati da NYC)

Che altro si può dire? È una città che non dorme mai, probabilmente è davvero il centro del mondo occidentale, ma che è difficile apprezzare come turisti (almeno per Marco). New York è un posto dove bisognerebbe fermarsi dei mesi, sedersi al bancone di un bar e capire come farsi trascinare in qualcosa di entusiasmante che sicuramente sta capitando a due passi, nascosto nel retro di una bottega o nella cantina di una chiesa.
Perché, nonostante la grandezza e la frenesia, New York vive ancora di relazioni di prossimità, vita nei quartieri e un grande senso di appartenenza a quello che si può definire un esempio di melting pot unico nel suo genere. Una vera e propria "Città che sale".
(a proposito, il quadro di Boccioni visto dal vivo è una bomba. Vale da solo l'ingresso al MoMA)
In attesa di tornare a New York vorremmo ringraziare tutto lo Staff di In Scena!: Laura Caparrotti, Donatella Codonesu e Carlotta Brentan che ha tradotto "La Città che sale.", Jenny Tibbels che ne ha diretto la mise en espace, gli splendidi attori che lo hanno interpretato, l'Istituto Italiano di Cultura, la giuria del premio e tutti gli artisti del festival. E in ultimo il maestro Mario Fratti per la presenza e per le belle parole.

Friday, February 09, 2018

Napoli.

Diego, tu che ne pensi?
Sala Ichos.
Napoli è una di quelle città delle quali non sai mai se apprezzi di più la bellezza degli scorci naturali che puoi trovarci; la straordinaria varietà di monumenti e opere artistiche di valore; la schiettezza, il sorriso, la simpatia e l’accoglienza dei suoi abitanti o la prelibatezza della sua cucina. Ammetto che, in tutta onestà, la competizione tra questi suoi aspetti rimane viva e difficile da risolvere, seppure la fame atavica degli attori, che in quanto tale ci perseguita da sempre, tenderebbe a far risaltare la vittoria della tavola imbandita. Forse per questo non vi parlerò del Cristo velato (anche perché sarebbe difficile una volta rimasto senza parole vedendolo), ma vi parlerò della pizza mangiata in via dei Tribunali (margherita), ma anche di quella mangiata da asporto a casa (salsiccia e friarielli), del caffè bevuto in un bar con i capelli di Maradona esposti in una teca, della sfogliatella gustata passeggiando nei dintorni di Santa Chiara, delle superbe torte salate mangiate da Rossella, dell’irripetibile pasta al ragù napoletano di Teresa, con tanto di secondo di carne e friarielli, della pasta al forno di Pippo e del vino che ha aiutato tutte queste cose a trovare la via dello stomaco. Vi parlerò anche di un posto che si chiama “Il ritrovo dei sapori”, di fronte alla stazione centrale, dove ho acquistato una mozzarella (da mezzo chilo) e una provola (da un chilo e mezzo) memorabili. Infine, per espiare, vi farò una confessione. Non avevo mai letto un libro di Erri De Luca. Mi ero ripromesso di leggerne uno, specie dopo le vicissitudini che l’autore ha dovuto subire, legate alla TAV. Se non ne sapete nulla cercatelo in google. Quale posto migliore di Napoli, per acquistare un libro di Erri De Luca? Ho dato un’occhiata veloce ai titoli e ho avuto pochi dubbi. “Il giorno prima della felicità”. Preso. Letto. Piaciuto. E resto fermamente convinto che l’autore si riferisce al giorno prima di tornare a Napoli. 
Sala Ichos.

Chiara, un pensiero sulla città?
Siamo tre giorni in tournée a Napoli. Siamo in scena con ESODO pentateuco #2 dagli amici di Sala Teatro Ichos, a San Giovanni a Teduccio. 
Mi pungola l'amara consapevolezza che non riuscirò ad assaggiare tutto quello che vorrei, ma la vita è così, se ne fugge via lasciandoti con l'acquolina in bocca. E poi so già che presto qui ci torneremo, il Progetto Pentateuco ha altri quattro titoli.
L'unica speranza che nutro, nel fondo del cuoricino, è di riuscire a carpire almeno uno dei segreti custoditi golosamente da questa città. La domanda è sempre la stessa, "come si fa?". Come si fa il caffé? Come si fa la pasta patate e provola? Come si fa la pizza? Come si fa la pastiera? Come si fa il ragù? Come si fa? Come si fa? Come si fa?
Beh. Una risposta ora ce l'ho.
Sala Ichos.
"Si scalda."
Si scalda la mozzarella.
Si scalda la provola.
Si scalda il tarallo.
Si scalda la sfogliatella.
Si scalda il casatiello.
E ora anche il mio cuoricino.

Margherita, tu che non c'eri, cosa vuoi dire?
#vedinapoliepomuori
E quindi, per evitare che si avveri, a Napoli non ci sono mai stata. Se non 35 minuti quella volta che andavo al matrimonio di Zio a Sorrento. Abbiamo fatto concentramento lì con tutti i parenti del nord e ci siamo spostati a Palma Campania in pullman proprio come la tifoseria di una squadra di calcio. Solo, con le chitarre, perché dovevamo fare la controserenata con Iannacci alla sposa.
Insomma, ci sono passata ma con gli occhi chiusi. Neanche il tempo di una sfogliatella!
E quindi ora perché dovrei desiderare di essere lì? Perché dovrei voler rischiare il tutto per tutto? 
Per il tarallo. 
Il tarallo napoletano con una birra fresca, questo è tutto ciò che desidero, ora lo so.
Sono due ore che li aspetto in stazione, devo aiutarli con lo scarico della scenografia a Manifattura K. Devo aspettarli, devo accompagnarli a Manifattura K. sfidando il traffico delle 18 in uscita da Milano, devo aiutare a scaricare e mettere tutto in magazzino. 
Solo allora potrò allungare una mano tremante e pretendere ciò che mi spetta.
Il tarallo.
Me l'hanno promesso.
Sarà mio.

Stefano, tu a Napoli sei "in prestito" (da Karakorum Teatro), hai un'ultima considerazione da fare?
Burp.

Wednesday, October 25, 2017

Garbagna.

di Chiara Boscaro

Tramonto a Garbagna.
È autunno, le castagne sfrigolano sul fuoco e un buon bicchiere di vino ci riscalda a fine giornata. E allora perché non concederci un bagnetto nei ricordi dell'estate? A Garbagna siamo stati a luglio, era il tempo del Borgo delle Storie, un festival piccolo e prezioso curato da Allegra De Mandato, Emanuele Arrigazzi e Luciana Rota. Garbagna ha 689 abitanti ed è Uno dei Borghi più Belli d'Italia, lo dice il cartello all'ingresso del paese. Pare abbia fatto parte dei "Sette feudi imperiali" concessi dall'imperatore Carlo V all'ammiraglio Andrea Doria nel 1568 (ma nel 1568 Andrea Doria era morto da otto anni e Carlo V da dieci). 
Ci troviamo in provincia di Alessandria, nei pressi di Tortona, tra dolci colline e dolci frutteti (la Sagra della Ciliegia qui la fanno da più di cinquant'anni). Vicino è ancora Uno dei Borghi più Belli d'Italia, Volpedo. Quello di Pellizza da Volpedo. Quello del "Quarto Stato". 
Al centro di Garbagna c'è una piazza, e al centro della piazza ci sono quattro grandi ippocastani piantati nel 1853. Al centro di questi vi è un arco, memoria di un’antica fonte d’acqua, da cui si approvvigionava tutta la popolazione.

A lato della Chiesa Parrocchiale, però, si trova la piazza più antica, più nota come "a piassa da l'urmu", la 'piazza dell'olmo', dove un tempo sorgeva un un olmo secolare, testimone di tanta storia paesana. Era proprio in "platea sub ulmo" - come si legge negli antichi statuti medievali - che si sottoscrivevano accordi, si concedevano investiture e si facevano transazioni. 

Non voltarti indietro.
Questa edizione del Festival è dedicata alla Frontiera Invisibile. Per citare Baumann,“Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell’arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità”

Ci hanno chiesto di portare Non voltarti indietro, un lavoro in cui la frontiera è una porta bianca che separa una lei, un lui e tanti non detti terribili. Lo spettacolo lo faremo in una piccola piazza, tra case silenziose e la minaccia di un temporale incombente dopo troppi mesi di siccità (non è una metafora). Ma non c'è solo questo, qui il paese vuole diventare un teatro a cielo aperto, con racconti d’autore, spettacoli itineranti, spettacoli per famiglie e teatro più attento alla ricerca.
E il mangiare?
Per il mangiare c'è veramente l'imbarazzo della scelta, ma i nostri ospiti ci portano al Ristorante Il Caminetto. E non abbiamo davvero di che lamentarci.


Saturday, March 11, 2017

Roma.

I tramonti ai Fori.
di Chiara Boscaro

Ah, la Città Eterna.
Ah, la Dolce Vita.
Ah, il fontanone.
Ah, i tramonti ai Fori.
Ah, i debutti a Roma.

Per me e Marco Di Stefano questa volta la Capitale è gioioso motivo di gita. È la fine di gennaio, ci sono dieci gradi in più che a Milano, il sole splende e abbiamo ben due giorni per passeggiare tra capolavori della storia dell’arte e trattorie famose in tutto il mondo dello spettacolo nazionale. Il 31 debutta al Teatro de’ Servi Bedda Maki, una commedia che abbiamo scritto insieme e che ha vinto il concorso “Una commedia in cerca di autori” (la regia è di Roberto Marafante, la produzione de La Bilancia). Il Teatro de’ Servi è dietro la Fontana di Trevi proprio come si dice, e noi siamo parecchio curiosi del riscontro del pubblico romano, più avvezzo (pare) alla commedia brillante rispetto agli spettatori milanesi. Per sedare l’ansia da prestazione ci sottoponiamo a un programma serratissimo di attività ludico-ricreative. 
In agenda abbiamo le solite cose del turismo romano:
L’hammam. Da AcquaMadre, con tanto di sapone nero e scrub con la striglia dei cavalli. Ci ritroviamo spellati e rossi come fichi d’india su una bancarella a Bari vecchia.
Il sushi. Di Daruma, compreso nel biglietto per la prima di Bedda Maki.
Il whiskey più buono del mondo. O così ci dicono. Un liquore giapponese effettivamente ottimo che sorseggiamo a caro prezzo in un bar di Campo De’ Fiori.
L’hamburger di ceci con cicoria ripassata e peperoncino da Fonzie The Burger’s House, al ghetto.
E poi esperienze più inusuali come:
Il carciofo fritto. Provato con metodo comparativo Da Francesco e da Sora Margherita.
La pizza romana al Forno di Campo De’ Fiori.
Una passeggiata digestiva sull’Aventino, dalla fermata della metropolitana Piramide su su fino al famoso buco della serratura dei Cavalieri di Malta, e poi Santa Sabina all’Aventino, il Giardino degli Aranci, il roseto di Roma Capitale, e poi giù giù fino al Circo Massimo, la Bocca della Verità, Santa Maria in Cosmedin, i Fori Imperiali e il Campidoglio.
Non riusciamo a entrare a San Luigi dei Francesi, ma solo perché ci passiamo sempre dopo le dieci di sera.
I debutti a Roma.
È una gitarella, niente di più. Ci vorrebbero settimane per esplorare la Capitale, amarla, arrabbiarsi, stupirsi di tutto quel cielo sopra la testa, fare un giro sul Grande Raccordo Anulare, capire la Metro C... ma purtroppo siamo milanesi,e il dovere ci richiama all’ordine. Sarà per un’altra volta.
P.S. Il pubblico romano il Bedda Maki l’ha gradito. Fiuuuu.

Thursday, February 09, 2017

Polistena.

di Marco Pezza

Gennaio 2017: La Confraternita del Chianti giunge per la prima volta in Calabria. Siamo qui per due motivi: tenere un laboratorio su Goldoni e portare in scena La Bottega del Caffè nel piccolo (ma efficiente) comune di Polistena.

Prima ancora di partire il suo nome mi evoca suggestioni da Magna Grecia, con miti e titani, dèi e mostri come Medusa la Gorgone.
Auditorium Comunale di Polistena (RC).
Polistena potrebbe benissimo essere una dea bellissima, punita da Atena per la sua bellezza, e incastonata nelle rocce del massiccio montuoso dell’Aspromonte, altro nome perfetto per una saga tipo “Il signore degli anelli”. Polistena, dalla sua prigione di roccia, canta le sue pene d’amore per il suo amato Antidoto, altro nome che apre a un altro immaginario ancora, figlio del vento e della spuma di mare. Polistena e Antidoto si amano ma non possono incontrarsi perché lui, in base alla sua contraddittoria natura, è il veleno per la sua amata che lo brama e lo piange come causa e cura del suo stesso mal d’amore. Solo il vento porta a Polistena le parole di Antidoto, ma nulla più. Polistena non è sul mare e il loro incontro resta per sempre impossibile, finché Zeus, commosso da tanto patire, concede loro di congiungersi solo quando la terra si squarcia e il terremoto fa distrarre Atena dalla sua gelosia. 
Questo mi sono immaginato riguardo al nome del posto in cui siamo approdati.
Ho poi letto qualcosa su Polistena e tra i cenni storici sono riportati quattro terremoti: quello disastroso del 1783, del 1894, del 1905 e l’ultimo del 1908 quello di Reggio Calabria e Messina. È stato come se la realtà -la natura- avesse suffragato la mia immaginazione e quasi mi sono sentito in colpa.

Il monumento all'emigrante.
All'atterraggio ci aspetta Andrea Naso di Dracma Teatro, di cui vi parlerò fra poco. La cosa che subito mi colpisce è l’odore di camino, dall’aeroporto di Lamezia Terme fino a Polistena, l’aria è intrisa di legna arsa, rami e ceppi bruciati per scaldare e per cucinare. Non aggiungo altro ma da buon nordico milanese, con una scarsa conoscenza del bellissimo meridione italiano, tutto mi aspettavo tranne che la Calabria ci desse il benvenuto con l’odore di camino.

Chi ci ospita e coccola è compagnia Dracma, centro sperimentale di arti sceniche che produce spettacoli, organizza stagioni e festival, gestisce residenze artistiche, forma pubblico, concorre per bandi e progetti di grande interesse sociale e culturale, insomma una realtà combattiva e fiera sostenuta da un comune virtuoso che ai miei occhi si distingue come un’oasi felice in una regione problematica come la Calabria.

La tipica ospitalità calabrese non tarda a manifestarsi e dopo aver messo i bagagli in stanza, veniamo condotti da Tirovino, ristorante elegante e con staff cortese e premuroso, dove veniamo rimpinzati con antipasti caldi e freddi, piccanti e dolci, primi e secondi di mare e monti, vino, caffè e amari. Una valanga di sapori! Ok, ora so cosa dire sull’ospitalità calabrese. Pancia piena e tutti a nanna.

Il venerdì si fa la generale, con due o tre filate per la memoria, e poi alle 21:45 “chi è di scena!”. La replica scorre via liscia, come un meccanismo rodato e ben oliato. Tra l’altro Giulia Versari, nostra attrice-neomamma, torna a calcare le scene, dopo la maternità, nella sua terra d’origine (materna). Oltre al pubblico del posto, c’è anche un nutrito gruppo di spettatori di Galatro, paese della nostra Giulia che, nel doppio ruolo di Lisaura/Placida, ci regala una performance davvero sentita e coinvolgente. Tanti applausi, tanti complimenti e tante coccole. 
“Che si fa?” “Si va a mangiare!” 
Questa volta tocca a La Cantina dell’Orologio, dove ci fanno assaggiare la “stroncatura” - ottimi spaghettoni conditi con capperi, olive, olio, aglio, acciuga, peperoncino e mollica - e l’unica vera porchetta di Ariccia. “Non voglio andare a dormire”, “Ne vorrei ancora” “Domani ci dobbiamo alzare” “Un giro di amari e via, che ne dite?”

Il giorno dopo c’è la sveglia infame e assassina per la matinée scolastica delle 9:30... Il sacrificio è ripagato dal calore e dalla partecipazione dei ragazzi, perfetto epilogo per questa piccola e preziosa avventura. La loro standing-ovation ci ripaga di tutte le fatiche affrontate per creare la nostra La bottega del caffè.
Applausi!
Grazie ragazzi! Grazie Polistena! Grazie Compagnia Dracma!

Rubo le parole del regista e autore della nostra compagnia, Marco Di Stefano, che sono perfette per l’occasione: 
“Chi ci accoglie è la Compagnia Dracma nella residenza del Bello perduto, (a quanto pare qui i nomi e le formule evocative sono la norma, lo aggiungo io), per un laboratorio su Goldoni e due repliche della nostra La Bottega del Caffè prodotta dal Teatro della Cooperativa. Sono stati giorni bellissimi dal punto di vista artistico e umano grazie alla serietà e all'impegno di Andrea Naso, Mariella Iannello, Giovanna Surace, Rossella Romeo, Giuseppe Mangeruga e Alessandro Trimarchi. Grazie anche ai ragazzi che hanno seguito il laboratorio con entusiasmo e soprattutto pazienza per le mie digressioni in calabrese inventato. Seguite il lavoro di questa bellissima residenza, ne vale la pena.”

Alle 19:00 di sabato sono di nuovo a Linate. 
Niente odor di camino, solo pm10 e un po' di scighera.
Per tutto il resto, ci si aggiorna al prossimo viaggio.

Saturday, October 08, 2016

Materia Oscura

«È una situazione alquanto imbarazzante dover ammettere che non riusciamo a trovare il 90% [della materia] dell'Universo.»
Bruce H. Margon, astrofisico all’Università di Seattle.

Materia Oscura è un’ossessione.
Materia Oscura è un problema.
Materia Oscura è una ricerca.
Materia Oscura è una vertigine.
La materia oscura è un’ipotesi, la speranza che l’universo come lo conosciamo sia pieno di qualcosa che non vediamo, ma che fa sì che l’universo abbia questa forma e questa età.
È il tentativo positivista dell'Uomo di disegnare l'universo a propria immagine e somiglianza. La materia oscura non emette radiazione elettromagnetica, non riflette la luce, non reagisce agli stimoli. La immaginiamo solo in base agli effetti gravitazionali che potrebbe esercitare sulla materia visibile. La materia oscura è ciò che vorremmo ci fosse e che non sappiamo se c’è.
E se c’è e poi ci fa male?
Materia Oscura è un progetto di ricerca drammaturgica, una speranza di incontro e condivisione tra autori teatrali che vogliano confrontarsi con la materia oscura del presente - con i suoi aspetti nascosti, o non detti, o che si preferisce solo ipotizzare -  a partire dal titolo della Stagione 2016/17 di Teatro I: “SENZ'ALTRO CONTESTO”.
Materia Oscura è un percorso che si avvarrà della partecipazione di esperti afferenti al mondo della società, dei media, dell'arte, della scienza, della filosofia. Materia Oscura sarà aperto al pubblico. Sempre. Materia Oscura potrebbe avere un esito finale, anche se al momento ci è sconosciuto. È una materia informe, indefinibile, invisibile.

E se poi ci fa male? E se poi non è teatro? E se poi non è testo? E se poi non siamo noi?


Materia Oscura - esperimenti di Drammaturgia Contemporanea
Francesca Garolla (Teatro I), Chiara Boscaro e Marco Di Stefano (La Confraternita del Chianti) da Gennaio 2017 coordineranno a Milano un gruppo di autori nel tentativo di realizzare un'indagine condivisa sui temi della stagione 2016/17 di Teatro I. Un focus per cui la drammaturgia non sarà solo scrittura ma riflessione.

p.s. Lo sappiamo che qui non si parla di turismo, né di bettole, né di tournée. Ma vi promettiamo solennemente una ricognizione delle osterie in zona Ticinese!